Compagnia dell'Arte dei Brentatori
I Brentatori ieri:
chi erano e cosa facevano?
Poco dopo il Mille, quando incominciarono a prodursi in Europa i primi fermenti di vita civile ordinata, sorsero qua e là delle associazioni di artigiani e delle fratellanze religiose che si proponevano fini di reciproca assistenza. Queste associazioni nell'arco di tempo che va dal XI al XII secolo presero il nome di Corporazione, Confraternita o Società - la denominazione era assai spesso suggerita dal sistema di Governo vigente nel Paese dove si organizzavano queste associazioni che avevano non solo lo scopo di tutelare i propri associati, ma di migliorare anche le loro capacità professionali e in tale modo offrire maggiori garanzie riguardanti le loro prestazioni.
Anche Bologna seguì questa usanza che si andava diffondendo in Europa e specialmente in Francia e in Italia. Furono prima gli studenti, che vi affluivano da ogni parte, a dare vita ad associazioni del genere che presero il nome di «Societas fraternitates»; agli studenti seguirono presto gente di mestiere, e prima di tutti i Beccai, che costituirono una associazione chiamata «Societas tam fraternitatis quam armorum».
Da queste società derivano poi, con l'avvento del regime popolare, le Compagnie delle Arti, che a loro volta promossero la formazione delle Compagnie delle Armi, specie di corpo armato volontario cittadino.
Di Compagnie delle Arti ve ne erano di tre specie:
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- quelle legalmente riconosciute, con propri Statuti, come quelle dei Beccai e dei Drappieri, i
cui Statuti risalgono al 1228 e 1230, alle quali era riconosciuto il diritto di eleggere gli
Anziani, governanti del Reggimento, e i loro consiglieri;
- quelle tacitamente riconosciute, e non ostante prive dei diritti politici, tuttavia erano
autorizzate a partecipare alla formazione delle Compagnie delle Armi;
- infine quelle ai cui associati era interdetta l'una e l'altra cosa.
Di questa ultima categoria faceva parte all'origine la Compagnia dell'Arte dei Brentatori - in molti documenti del tempo si legge anche Brentatori - che si può presumere sia sorta di fatto nel XII secolo, che aveva la sola facoltà di eleggere il «Massaro», il cui compito era quello di amministrare la Compagnia. A differenza però di tutte le altre della medesima categoria, ai Brentatori era richiesto un impiego di pubblica utilità, nel quale era in certo qual modo implicito un principio di riconoscimento giuridico, che consisteva, vedi «Statuta Comm. Bon. Lib. VI, XLII», nell'obbligo di servirsi delle Brente, recipiente da trasporto di liquidi, per portare acqua dove avveniva un incendio.
Il mestiere specifico dei Brentatori non era però quello di portare acqua per spegnere gli incendi, bensì quello di trasportare il vino, per mezzo delle «Brente», recipiente portato a dorso, che aveva una prestabilita misura, corrispondente ad uno «Stajo» o mezza «Corba».
Lo staio o stajo (al plurale staia o 'staja) era un'antica unità di misura tradizionale italiana. Era innanzitutto una misura di capacità per cereali e derivava dal sextariusromano,se il sextarius era poco più di mezzo litro, lo staio andava dai circa 20 litri dell'Italia nordoccidentale (17,77 ad Alessandria, 18,27 a Milano) passando per i 35 litri di Cremona o, per esempio, ai 47,04 di Parma e i 63 litri di Modena, giungendo agli 83,317 litri di Venezia.
La corba era una misura di capacità che corrispondeva a 78,64 litri.
I Brentatori, erano autorizzati anche ad assaggiare il vino che veniva immesso sul mercato, acquisendo così una specifica competenza di conoscitori e apprezzatori del vino, per cui la Compagnia dell'Arte dei Brentatori, si assunse non solo il compito del trasporto ma anche quello della qualificazione e valutazione mercantile del vino; vino di qualunque tipo.
E proprio per questa particolare funzione del tutto indipendente e perciò non vincolata a un vino specifico, la Compagnia dell'Arte dei Brentatori si distingue da tutte le altre Confraternite vinicole, comprese quelle di maggior prestigio.
Come sia sorta la Compagnia e dove abbia posto la sua prima sede è materia del tutto ipotetica, mancando in proposito atti o documenti probatori. Si sa solo, come abbiamo detto, che esisteva, e gli Statuti Comunali di Bologna lo provano, nel 1250.
In assenza di ogni altra prova, non è arbitrario tuttavia presumere per logica di ragionamento che la Compagnia sia sorta per iniziativa di qualche intraprendente suo componente, ad imitazione delle altre Compagnie, si sia proposto innanzi tutto lo scopo di regolarizzare in maniera organica il trasporto del vino. E che la sua prima sede sia stata posta nelle vicinanze della Casa Comunale per la elementare regione che fra le funzioni che doveva assolvere il Reggimento della città vi era anche quella di vigilare sul mercato del vino per motivi di gabella.
Nel XII e XIII secolo la Casa Comunale era situata in piazza S. Ambrogio a Bologna e cioè nel luogo dove oggi si trova pressapoco Corte Galuzzi. Il nome di S. Ambrogio le era derivato dalla Chiesa omonima, che era anche tempio del Comune, eretta nella stessa piazza.
Piazza S. Ambrogio si raggiungeva per via S. Ambrogio, attuale via Pignattari, che partiva da piazza Maggiore e, data sua larghezza per i tempi eccezionale, si può dire faceva corpo con la stessa piazza nella quale sboccava.
L'ipotesi che la prima sede della Compagnia dell'Arte dei Brentatori fosse situata in questa zona trova una indiretta convalida dal fatto che via S. Ambrogio venne più tardi denomina via della Brenta e poi del Dazio del Vino.
Qualunque fosse la sede è certo che la Compagnia dell'Arte dei Brentatori venne legalmente riconosciuta nel 1407, vedi Statuti in Bologna, e venne ad essa riconfermato il pubblico servizio, già assegnatole nel 1250, precisando l'obbligo di accorre con le brente a portare acqua dove fosse scoppiato un incendio non appena fosse chiamata dal segnale dato dal suono della campana della Torre Asinelli. La sede della Compagnia era a quell'epoca in via del Dazio del Vino, è difatti storicamente documentato che nel XVI secolo essa aveva la sua Casa di Residenza in via del Dazio del Vino al N. 1209 e 1210, ciò risulta da un Rogito di Battista di Mansino Aglietti, datato 7 marzo 1555, nel quale si dil che Bartolomeo Isolani affittava a Cornelio Malvasia, fissando canone annuo in lire 150 oltre a tre boccali di malvasia, un gruppo di fabbricati nel quale si trovava la Casa di Residenza del Compagnia dei Brentatori, il Dazio del Vino e l'osteria alla insegna della Fontana.
Dopo il riconoscimento legale del 1407, e l'approvazione del suo Statuto, avvenuta nel 1410, come risulta dalla copia originale di esso compreso nella raccolta dei codici miniati dell'Archivio di Stato di Bologna, la Compagnia dell'Arte dei Brentatori acquisiva il «jus» di bollare le «Brente», le «Castellate», le «Barille» e i «Mastelli» vinari.
Non ostante il riconoscimento e diritti e funzioni connesse, il «Massaro» della Compagnia non figurava fra i Tribuni della Plebe; la storia non spiega per quale ragione. Si deve inoltre rilevare che nel 1556, per motivi anch'essi sconosciuti, almeno fin'ora, vennero sospese le comparse ufficiali o sortite della Compagnia in corpo, pure conservando ad essa tutte le funzioni e compiti in precedenza assegnati. Questa sospensione venne revocata il 30 aprile del 1674, primo giorno delle Rogazioni, così che il Signifero della Compagnia partecipò alla processione sontuosamente vestito con un abito di damasco paonazzo, che è riprodotto in una serie di stampe a colori che si trova alla Biblioteca dell'Archiginnasio e rappresenta i costumi di gala di tutti i «Massari» delle Compagnie delle Arti di Bologna.
Verso la metà del 1700 la Compagnia si scelse anche un Patrono e venne scelto il Beato Alberto da Villa d'Ogna, terziario domenicano, nato nel 1214 a Villa d'Ogna di Bergamo e morto a Cremona il 7 maggio 1279, per avere egli esercitato in gioventù il mestiere del «Brentatore». La prima festa del Patrono della Compagnia venne celebrata il 13 agosto 1572.
La Compagnia, come tutte le altre, venne soppressa dalla Repubblica Cisalpina nel 1800. A quell'epoca, oltre alla Casa madre, essa era costituita da 18 «Trebbi», così venivano chiamati i centri di raccolta dei Brentatori, distribuiti nella città e situati nei punti dove confluiva il traffico del vino. Si era usato il vocabolo «Trebbo» per indicare i luoghi di raduno dei Brentatori in quanto nel dialetto bolognese esso vuole significare convegno o trivio; nel caso specifico convegno al trivio.
La Compagnia dell'Arte dei Brentatori ha ripreso la sua vita nel 1970, riallacciandosi idealmente al contenuto morale che era implicito nella sua antica funzione.
Essa si propone di esaltare il vino, senza distinzione di origine o di marca, per la sua mitica origine, per le sue leggendarie vicende, per il suo contenuto poetico e l'influenza che ha avuto nello svolgimento della civiltà artistica e letteraria. Vuole che la gente ritorni ad apprezzare il vino, come lo era anticamente e ricordare che è il più nobile prodotto della natura vegetale e componente, non già complemento, indispensabile della mensa, non solo perché dal vino discende la cucina, ma anche per le specifiche virtù che partecipano al piacere del gusto e al processo fisiologico della nutrizione.